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Genova è infinita! 

Così mi ha detto un giorno una guida turistica di lingua russa, incontrata per caso. In questa non grande città, ci sono cose sempre da scoprire come fosse una città “infinita”. Ecco un altro angolo sconosciuto anche a moltissimi genovesi: il Carmine. Il paradigma di una città tutta da scoprire: un paesino dentro la città. Un piccolo quartiere che potrebbe essere tutto contenuto in una piazza; viuzze, creuse e piazzette dai nomi suggestivi che evocano arti e mestieri antichi; un piccolo mondo che si può scoprire alle spalle del rinnovato Mercato del Carmine e della omonima chiesa.

Arrivare al quartiere del Carmine è facilissimo: ci troviamo a 50 metri da Piazza dell’Annunziata e a 300 metri dalla Stazione ferroviaria di Genova Principe, così magari dopo aver visitato Palazzo Reale e gli altri palazzi di via Balbi un giro nel Carmine ci riporta ad altre atmosfere ad altre dimensioni.

Il percorso suggerito può durare 20 minuti o mezza giornata: dipende …. da voi.

Il percorso inizia dalla Piazza dell’Annunziata (1) con il suo intenso traffico automobilistico e i palazzi nobiliari del 600; superata sulla destra la chiesa arriviamo alla Piazza Fratelli Bandiera (2) al cui centro domina una statua di marmo che un tempo era un “barchile” ossia una fontana terminale dell’antico acquedotto di Genova. La statua è stata spostata più volte in città e non è detto che questa sia la sua collocazione definitiva: il tristissimo parcheggio ai suoi piedi non rende merito alla rappresentazione marmorea di Enea con sulle spalle il padre Anchise e per mano il figlio Ascanio, rappresentazione della fuga da Troia tratta dall’Eneide; opera di Francesco Baratta, allievo del Bernini.

Si prende a destra il Vico di S. Agnese e poi a sinistra la via di S Agnese, in salita, la breve rampa pedonale porta alla via principale dove affaccia la Chiesa del Carmine e il Mercato del Carmine oggetto di un recente restauro. Il mercato in vetro e ferro ospita alcuni banchi di vendita di qualità e un bar-trattoria dove, senza formalità, si può fare una sosta e uno spuntino a base di minestrone o pasta al pesto a prezzi convenienti se ci si accontenta di un solo piatto.

Su retro del mercato si apre la Piazza del Carmine (3) e siamo già in un altro mondo. Sulla piazza affacciano piacevoli locali e ristoranti. Su un lato della piazza c’è un dipinto murale con la scritta “MI HANNO RUBATO IL PRETE”  dedicata a Don Gallo che qui iniziò la sua carriera di prete di strada; dalla parte opposta una bella edicola votiva e un palazzo a mattoni rossi di origini medioevali; prendiamo il vicolo in salita, Salita di San Bernardino, vecchia mattonata (creuza) con panni stesi e contrafforti tra i palazzi, a sinistra e a destra si aprono altri vicoletti, vico della Fragola, vico dello Zucchero, vico del Cioccolatte. La cancellata in cima alla breve salita chiude la vecchia Abbazia di San Bernardino, distrutta in gran parte dai bombardamenti dell’ultima guerra. Percorrendo Vico Cioccolatte, nel suo culmine svoltiamo in Salita di Monterosso che attraverso due successivi archi ci porta in Piazza Della Giuggiola (4), uno spazio di meno di 100 mq tra le case: al numero uno un cortiletto privato porta all’albero di Giuggiole che si dice sia l’unico in città; al numero 3 c’è un bel laboratorio di maglieria “La Giuggiola” che può costituire una piacevole visita anche se non si ha intenzione di fare acquisti.  Piccolo giardini con alberi di limoni, arance e mimose rendono unico questo piccolissimo spiazzo.  Al momento (gennaio 2015) la pavimentazione è in rifacimento dopo i disastri dell’alluvione che ha fatto “esplodere” le condutture dei rigagnoli interrati.

Torniamo sui nostri passi e giriamo a destra: davanti a noi si apre un portale con un arco in marmo che ci divide dalla Salita dell’Olivella: questa era la porta del monastero delle monache di San Bartolomeo.

Entrando, questa è la vera sensazione che si prova, si arriva alla Piazza di San Bartolomeo dell’Olivella (5) che era il centro del monastero. Un triangolo tra le case, la chiesa e la salita con due ulivi. Il monastero fu fondato nel 1305 e durò fino all’arrivo di Napoleone che chiuse tutti gli istituti religiosi (1797).

La vita qui scorre in un’altra dimensione nella quale possiamo immergerci: leggere la targa appesa al muro con la storia del luogo, salire dagli ulivi con la vecchia panchina, trovare la cuccia dei gatti a volte socievoli, a volte frettolosi; ad essere molto fortunati dopo la panchina potremmo trovare la porta che ci fa entrare nella sala giochi degli scout della Chiesa e potremmo ammirare quel che rimane di un magnifico affresco del Carlone del 1600; oppure possiamo spingere il portone a vetri del civico n.8, spesso aperto, oppure suonare per chiedere di entrare nell’edificio che fu il monastero con i resti dell’antico chiostro in cima alla scalinata; scovare qui e là resti di intonaco affrescato, tra cui una bella Pietà; immaginare la madonnetta che doveva occupare una nicchia ancora colorata in blu; vecchi vasi di Aspidistra, tracce del pozzo, odore di umido e di muschio; vecchie grate e vecchi cancelli; il vecchio portone in ferro dipinto di verde.

Tornando in piazzetta si può uscire da quello che fu l’atro portale d’ingresso al monastero che affaccia in Salita di San Bartolomeo del Carmine. Da qui vale la pena alzare lo sguardo per trovare i resti medioevali del Portale Gotico in strisce di marmo alternato ad ardesia e con al vertice un piccolo “Agnus Dei” scolpito.

Se fosse una bella giornata di sole e se volessimo prenderci una mezz’ora di relax, tornando indietro dal Primo varco dell’Antico Monastero siamo in Salita Carbonara che ci conduce in uno slargo con due alberi e alcune piacevoli panchine per una sosta e un eventuale pranzo al sacco: ci troviamo i pieno centro della città ma si stenta a crederlo.

Tornando infine alla Piazza del Carmine non possiamo esimerci da una visita alla Chiesa del Carmine; la chiesa è da visitare con attenzione per scoprirvi , come sempre si fa sempre una certa fatica a trovare i tesori a Genova, delle tracce di un affresco dietro l’altar maggiore, opera attribuita a Manfredino da Pistoia, allievo del Cimabue, attivo a Genova intorno al 1290; altre opere importanti ed evocative si trovano nella Chiesa tra queste, curiosa, la cappella dei Camalli, i lavoratori del Porto di Genova, che provenivano dalle Valli bergamasche e che dovevano far nascere i figli nei luoghi d’origine per mantenere il privilegio di farli lavorare ancora nella Repubblica. Così le donne bergamasche a fine gravidanza erano costrette al lungo viaggio che portava in quel di Bergamo.  Se poi avrete la fortuna di incontrare il “don” o un sacrestano che vi possa dedicare un po’ di tempo, scoprirete un mucchi di cose interessanti oltre che in chiesa, in canonica e presso l’ufficio parrocchiale.

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